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Comunicazione

Dopo il Covid 19 bisogna aiutare la resilienza dell'economia e delle comunità della città

di Francesco Antonich

Quanto accaduto durante la fase acuta dell’epidemia da Covid 19 ha evidenziato la vulnerabilità di interi settori economici, in particolare del terziario di mercato, lasciati orfani da sempre di una politica organica, nazionale ed europea, in grado di contemplare, all’occorrenza, adeguate misure di accompagnamento nei grandi cambiamenti del tessuto economico e sociale, per non parlare di sostenerne la resilienza in momenti d’emergenza generale. La massiccia campagna vaccinale, la concentrazione di risorse ed intelligenze scientifiche stanno dando i primi concreti frutti in termini di messa sotto controllo del virus, mentre individui e comunità hanno già maturato una nuova consapevolezza sociale ed economica che porta all’adozione di nuovi stili di vita, di consumo, di relazione. La lezione va dunque appresa fino in fondo ed esige azioni conseguenti anche per ospitalità, ristorazione, commercio di prossimità e servizi alla persona, per le professioni, per la cultura e il tempo libero e la ricreazione della Qualità della Vita. Indipendentemente dagli effetti rigeneranti possibili - per lo più indiretti, si presume – che potranno produrre le risorse del PNRR, del quale rimane ancora estremamente incerto l’impatto sulla quotidianità di imprese e di persone, almeno a breve, ci si attende una politica organica per un patrimonio nazionale strategico ed identitario quale è l’economia delle città, storiche, d’arte o meno che siano. A cominciare dal prevenire che il destino del turismo italiano, quando potrà riprendersi del tutto, rischi di essere lasciato alla governance delle multinazionali, non di rado appoggiate dai propri governi, che ne stanno già ridefinendo flussi, target di mercato, investimenti. Per non parlare della lunga mano dell’illegalità, già in movimento. Inoltre, occorre prevenire speculazioni che potrebbero approfittare di un profondo turbamento del mercato degli immobili strumentali e commerciali. Ci si aspetta che la politica, ascoltando le parti sociali e le comunità, lavori su assi paralleli ed inscindibili. Un primo asse, culturale e sociale, un altro più strettamente politico strategico. Il cambiamento culturale e sociale è quello di non considerare più l’ospitalità italiana e tutto il suo indotto attività “ricettivo-fatturiera” o “commercio minore e di prossimità”, ma un sistema di imprese con un proprio, definito ruolo sociale ancor prima che di solo business, un unicum non replicabile fuori dall’Italia, perché costituito indissolubilmente dalla storica cultura intergenerazionale degli imprenditori, dei lavoratori, delle imprese, spesso ancora di natura familiare, e dei cittadini loro fruitori. Patrimonio di relazioni, a volte alla base stessa dell’estetica del servizio offerto, non standardizzata, delle strutture ricettive, dei negozi, dei luoghi e dei contesti in cui sono inseriti che, appunto, “fanno insieme città” e quindi economia urbana. Secondo asse, tutelare questo Patrimonio con una Politica alta, articolata, quale componente di politica estera, politica di promozione e di presidio, che sappia essere forte nei tavoli decisori, internazionali, politici ed economici, in grado di gestire, con efficacia e assertività, le questioni con gli altri Stati che impattano su questo patrimonio, compresi casi di sciacallaggi mediatici globali, eventi critici di qualsiasi tipo: emergenze sanitarie, climatiche, o semplicemente di sleale concorrenza. Una politica che renda automatici interventi emergenziali per i paesi colpiti da parte dell’Unione europea. Sarebbe tardivo un grappolo di politiche per filiera o comparti; serve una politica organica per l’economia delle nostre città e dei nostri borghi: perché non si sta parlando di un settore economico ma di una voce che si leva da imprese, da lavoratori e da famiglie. Una voce indispensabile del conto economico e sociale del Paese.

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