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Comunicazione

Ora al Paese serve un nuovo stile di dialogo tra Politica e mondo dell’Economia e del Lavoro

di Francesco Antonich

Dopo la stagione della tentata rottamazione, per fortuna per slogan e non per decreto, la campagna elettorale ha riportato l’attenzione sulla necessità del dialogo con le rappresentanze economiche e sociali. Naturale chiedersi, all’indomani dell’insediamento del nuovo Governo, quale sarà lo stile e l’approccio della nuova compagine politica nei confronti delle rappresentanze dell’economia e del lavoro.

Ma forse, prima considerazione da fare, è che la passata stagione ha stimolato nel mondo della rappresentanza una riflessione a partire dalla considerazione sull’uso e sull’interpretazione che la politica può fare di un termine come “corpi intermedi”. Termine che si è rivelato non immune da manipolazioni per farne percepire al pubblico una sfumatura di staticità, di ostacolo alla ottimizzazione del processo decisione, almeno secondo alcuni leader. Non facciamone una questione di parole, si potrà dire: ma nell’era dell’informazione a velocità… neuronale, tanto in termini di impatto emotivo, reattivo e di rimozione, associazioni di categoria, sindacati, storici e costituzionali agenti di vita democratica del Paese, non di rado si trovano sulla difensiva comunicativa e, non di rado, negoziale; vuoi perché se ne voluto evidenziare la negatività, vuoi che un poco piaceva “spoliticarne” il valore originario: si scrive corpo intermedio, si legge corpo estraneo.

Se dunque le rappresentanze del mondo del lavoro a buon diritto devono sentirsi tra i terzi a favore dei quali dovrebbe essere stato stipulato il contratto tra Movimento 5 Stelle e Lega, allora è legittimo attendersi che, velocemente, dai segnali si passi al metodo e, appunto, allo stile, costruendo un nuovo, necessario dialogo progettuale con chi rappresenta quei cittadini – termine frequentissimo negli interventi “pro fiducia” in Parlamento del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte -  che si impegnano e si riconoscono nelle realtà partecipative delle imprese, nelle aggregazioni di intelligenze e delle competenze del Paese. L’auspicio? Che la Politica colga il significato del ruolo rinnovato delle rappresentanze datoriali e dei lavoratori, quali agenti di trasformazione e sviluppo, organizzati ed organizzativi della rappresentanza partecipativa – coordinamento del dissenso e della proposta progettuale – e considerati tra le modalità di partecipazione civile volute dalla Costituzione (artt.: 3 e 18, ad esempio). Espressioni delle risorse umane del Paese, che devono a loro volta essere consapevoli del loro nuovo ruolo di connettori sociali e di agency di rappresentanza.

Connettori sociali perché, oltre la mediazione, provocano e costruiscono legami e connessioni tra la comunità di riferimento e il resto della società e le Istituzioni. E in quanto catalizzatori di connessioni, in grado di esercitare un influsso determinante su una linea d’azione per lo sviluppo del territorio su cui operano e di cui sono in grado di individuarne le premesse, i segnali anticipatori, competenti a leggere e ad interpretare le istanze e i bisogni della comunità e di riferimento. La lobby contemporanea diviene dialettica tra progettualità e visione politica: saper produrre soluzioni condivisibili dalla collettività, comprendere e gestire costruttivamente il dissenso, nell’ambito dei rapporti tra imprese, società, organi dello Stato, Enti Locali.

Poi, essere agency di progettazione e di trasformazione, cioè saper proporre e ingegnerizzare capacità/strumenti di soddisfazione dei bisogni emersi, specifici e collettivi, consapevoli e responsabili di essere tessuto connettivo (tra territori e loro intelligenze, risorse umane, bisogni e soddisfazioni) per le realtà urbane, per i territori e per il Paese.  Se Politica, cioè Governo ed espressioni dell’elettorato in Parlamento da un lato e connettori sociali dall’altro sapranno reciprocamente dimostrare la rispettiva autorevolezza e riconoscerla, a cominciare dai contenuti e dagli stili del dialogo, saranno restituiti agli Italiani gli interlocutori di quella “Conversazione politica”, invocata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’inizio del suo mandato, come irrinunciabile espressione di metodo e di sostanza della vita democratica dell’Italia e fattore determinante del suo sviluppo morale prima che economico.

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