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Comunicazione

Commercio senza consumo di suolo e shopping sostenibile: La Corte dell'Ue dice "Si può fare"

di Francesco Antonich

Una volta tanto l’UE, con la sua Corte di Giustizia, segna un punto a favore del contenimento del consumo di suolo e, più in generale, dello shopping sostenibile e valorizza il tessuto commerciale di prossimità e del centro storico.

Forse troppo distrattamente, è stata… archiviata da amministratori e tecnici dell’urbanistica e del commercio, la sentenza del 30 gennaio 2018 pubblicata in GUCE C-112 lo scorso 26 marzo. Questa, infatti, pone una nuova prospettiva per il governo di territorio ed ambiente urbano, e rende possibile ai singoli Comuni pianificare risparmiando suolo e garantendo un ponderato, ecosostenibile e funzionale equilibrio tra le necessarie varietà dell’offerta distributiva.

Senza entrare nei dettagli della complessa sentenza, per altro chiara nelle conclusioni, si può dire che va riletto ed applicato con più attenzione l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 “Servizi o Bolkestein”. Infatti, la Corte europea sentenzia che tale disposizione deve essere interpretata in questo senso (la citazione è doverosa): “le norme contenute in un piano regolatore di un Comune possano vietare l’attività di vendita al dettaglio di prodotti non voluminosi in aree geografiche situate al di fuori del centro cittadino di tale Comune, purché siano rispettate tutte le condizioni previste dall’art. 15, par. 3, di tale direttiva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.

Un piano regolatore può dunque non prevedere centri e parchi commerciali fuori dal centro se ciò va a garantire alcuni elementi essenziali della qualità della vita sociale ed economica del centro abitato, a cominciare dal preservare la sicurezza, la residenza, prevenire la desertificazione e a garantire il ruolo sociale e la fragilità della sua identità del commercio di prossimità, la sua tipicità e peculiare offerta commerciale sotto tutti i suoi aspetti.

Fatti salvi i principi della concorrenza, uno strumento di governo del territorio, per il Veneto il combinato del Piano di Assetto del Territorio e il Piano degli Interventi, può prevedere limitazioni agli insediamenti commerciali fuori porta, se ciò risponde ad un imperativo di interesse generale, com’è da tempo previsto dalla normativa dell’Ue e dalla stessa Giurisprudenza della Corte di Lussemburgo la tutela dell’ambiente e dell’all’ambiente urbano.

Va dunque data corretta applicazione anche al principio contenuto nel D. Lgs 26 marzo 2010, n. 59, all’art. 8, comma 1 lett. h), che contempla, tra i motivi imperativi di interesse generale,  la sicurezza e l’incolumità pubblica, la sicurezza stradale, la tutela dei lavoratori e la loro protezione sociale, l’equità delle transazioni, la conservazione del patrimonio nazionale storico artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale: obiettivi che sono appunto degni di tutela per preservare l’ambiente urbano da quegli “effetti collaterali”- ma perduranti nel tempo e nello spazio -  derivati anche dalla realizzazione di grandi interventi insediativi e infrastrutturali  quali parchi e centri commerciali. Per la cronaca, contro il gigante della normativa Ue, ha vinto un piccolo Comune di circa 11.900 abitanti dei Paesi Bassi, Appingedam, con un Consiglio Comunale molto, molto determinato a preservare, condividendola, la propria identità economica e sociale fortemente radicata anche su uno storico terziario di mercato cittadino che crede nel sproprio ruolo per il futuro della propria comunità cittadina. L’auspicio è che dove strumenti urbanistici e loro variati dei nostri Comuni sono ancora in via di elaborazione, Sindaci e tecnici leggano la sentenza e considerino l’opportunità di pianificare uno shopping sostenibile e una qualità dell’ambiente e della vita urbani come un’opzione possibile ed attesa da cittadini ed imprenditori della città.

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