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Comunicazione

Il sostegno del commercio non si fa per finta: la beffa del decreto crescita

Chissà perché, tra i Comuni italiani al di sotto dei 20.000 abitanti non ha destato ancora particolare entusiasmo la misura, prevista dall’art. 30-ter del “decreto crescita”, ora Legge 28 giugno 2019, n. 58, che prevede agevolazioni per la promozione dell’economia locale supportando la riapertura e l’ampliamento di attività commerciali, artigianali e di servizi. Di contro, invece la misura sta irritando fortemente proprio i potenziali beneficiari, che quattro conti li hanno fatti. I dati ISTAT (2019) ci ricordano che i Comuni interessati dalla misura sono 7.380; di questi 523, pari al 7,06% sono nel Veneto, 35 nella Città Metropolitana di Venezia, mentre in Provincia di Rovigo solo il capoluogo supera i 20.000 abitanti, tutti gli altri 49 sono al di sotto (Adria sfiora di poco i 19.400 abitanti). L’agevolazione di per sé, per la verità, rientra nelle migliori intenzioni: viene rapportata alla somma di tributi comunali dovuti dall’esercente nell’anno precedente a quello della coraggiosa riapertura o del tanto sospirato ampliamento; una buona compensazione delle tanto sofferte “tasse”, per aiutare davvero a partire. Nel frattempo, però, il Comune dovrebbe già prevedere e stanziare a bilancio, in un apposito fondo, un importo a compensazione dei tributi scontati all’impresa e quindi non incassati dall’ente locale, ma sapendo che sarà compensato perché il Governo, per questa misura, metterà, a disposizione dei Comini, tramite il Ministero dell’Interno, a sua volta, un fondo che dai 5 milioni di euro per il primo anno, il 2020, arriverà a toccare un jackpot di 20 milioni a partire dal 2023. Ma ora è opportuno lasciare la parola ai protagonisti di una scena della quale ogni riferimento con la fantasia e il paradosso è del tutto puramente casuale…

Eccoci nell’osteria Al Tajut di Belborghetto, Comune da poche migliaia di anime, dove l’oste sta facendo i conti, con il compare di merende, l’assessore al Commercio, al quale, davanti ad un bicchiere di merlot sta raccontando la sua idea di ampliare l’osteria perché in paese gli anziani sono raddoppiati, e bisogna pure dar lavoro ai giovani. L’amico assessore gli dice che prima di scomodare la sua impiegata dei tributi per far conti,  vuole attendere che dice il Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze – l’assessore è ben documentato e mostra all’oste il testo della legge, perché carta canta e… conta -, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, che  devono prima trovare la quadra su come ripartire  le risorse nazionali tra le regioni, le province autonome, i comuni…

A questo punto l’oste i conti li fa di getto: ad usare il coltellaccio di Salomone ed il pollo di Trilussa, - leggi la media - per ogni Comune spetterebbero in media, per il 2020 circa 677,50 Euro, per il 2021 esattamente il doppio, per il 2022 ben 1.660, 28 Euro e, a decorrere dal 2023, piatto ricco mi ci ficco, con 2.554,27 euro mediamente per Comune. Per carità, si spera che non vi sia una vera e propria gara in paese: se anche Toni il barbiere, Franco il panettiere e pure la Rosina del latte e formaggi si mettono a far progetti, si e no resteranno poche centinaia di euro per ciascuno. Roba che non ci pago manco il frigorifero nuovo, ma manco la fattura della luce, il canone per la televisione per gli avventori.  Naturalmente ancora nessuno sa quali saranno i criteri e i parametri di riparto delle risorse nazionali, né tra le regioni, né tra i diversi Comuni, per altro a loro volta con fasce demografiche che vanno dal centinaio di anime, appunto a 20.000 abitanti.  Ma quello che tutti sanno è che non si può, proprio non si può, rilanciare l’economia di un borgo, di una cittadina, senza almeno sedersi a far quattro conti con l’oste. Il commercio, per finta, non lo si aiuta davvero.

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